giovedì 29 novembre 2012

Uno sguardo sulla fine

Esistono momenti in cui stai pensando ad alcune cose che vorresti scrivere, ci lavori su, cominci a costruire i vari discorsi, a dar loro forma e anche a chiederti quale scrivere prima e quale dopo e, all'improvviso, ecco che l'ambiente esterno ti catapulta addosso da più fonti un argomento che non c'entra assolutamente nulla con ciò che tu hai in mente, ma che sostituisce di botto tutto quello su cui hai girato fino a quel momento.

Stavo mettendo in ordine le idee per scrivere dei post che parlassero della mia passione per i fumetti, del mio essere caotico e bambino, pur senza essere infantile, e di una pericolosissima malattia che io chiamo S.R.G. (e non pensate che io vi dica adesso cosa significa questo acronimo, perché lo svelerò solo quando ne parlerò più diffusamente) ma, nel giro di poco meno di una giornata mi è capitato di captare conversazioni e scritti che puntavano sul concetto di "Fine" inteso sia come morte, sia come termine di un sentimento o di storia, sia come consunzione di un qualcosa e quindi mi dico: "E va bene, affrontiamo il discorso sulla fine" e, per iniziare voglio partire da uno spunto datomi da un post del blog "Ragno Velenoso", in particolare quando dice che

"la gente comincia a fare qualsiasi cosa con l'ottimismo/pessimismo di dire Non finirà mai" 

(e tra l'altro io ci aggiungo anche la frase "non cambierà mai")

Tutte le volte che sento parole del genere l'unica cosa che riesco a percepire è la volontà di chi le pronuncia di illudersi che possano esistere situazioni senza una fine e/o senza cambiamenti.

Possibile che sia così difficile per noi accettare il fatto che esiste una fine per tutto ed è anche giusto che sia così?

E' tutta la giornata che nella mia mente si rincorrono ricordi di tre particolari discorsi che mi sono trovato a fare, due con mia moglie e uno con il sacerdote che ci ha sposati e, vista la loro attinenza con questo discorso, li condivido.

Mancano pochi mesi al matrimonio e , visto il fatto che lei è credente e praticante, mentre il sottoscritto è completamente agnostico e pure non battezzato, il sacerdote (che già conosceva la mia futura moglie da diversi anni) aveva chiesto di potermi parlare a quattrocchi e, per questo, avevamo combinato di trovarci a Roma, dove sapevamo che, a breve, saremmo dovuti andare tutti. Arriva così il pomeriggio in cui abbiamo appuntamento e, dopo aver parlato di alcune cose tutti e tre assieme, lei esce e io e il sacerdote iniziamo a parlare. A un certo punto il discorso cade proprio sul concetto di "per sempre" e, a quel punto, ecco che mi trovo a dire: "Io so benissimo che la mia storia con lei finirà e su questo non ci sono dubbi. Perché, se va bene, la storia finirà con la morte di almeno uno dei due e quindi vorrà dire che avremo condiviso la nostra vita fino alla fine, ma questo potrebbe anche non capitare, perché potremmo trovarci a capire che non riusciamo più a vivere assieme senza farci del male, e quindi potremmo decidere di andare ognuno per la propria strada. Non so cosa ci porterà il futuro, se sapremo essere felici assieme oppure no, ma io so che sono disposto a vivere questa storia fino alla fine".
(Tra l'altro nella pps che io e mia moglie abbiamo fatto con alcune foto tratte dal giorno del matrimonio, l'ultima di queste è una sua foto in cui sta ridendo di gusto che abbiamo deciso di commentare con la frase "Fino alla fine"!)

Siamo verso la fine del 2010, in uno dei periodi più duri che abbiamo affrontato finora. Mia suocera è morta da pochi mesi e il dolore di mia moglie è un qualcosa di quasi solido che staziona attorno a lei e, spesso, parliamo un po' per ricordare e un po' per esorcizzare il tutto eppure, da qualche tempo, un pensiero mi ronzava in testa e per questo ne ho parlato con lei e le ho detto: "E' vero, tua madre è morta. Capisco il dolore che provi e capisco il fatto che ne senti la mancanza, ma vorrei farti una domanda: vuoi pensare un attimo al momento in cui è morta? Era in vacanza con suo marito, l'uomo con cui ha condiviso ben 51 anni della sua vita; era felice ed allegra; era felice per te, perché aveva la coscienza che tu avevi la tua vita e camminavi sulle tue gambe, perché ha visto che hai saputo affrontare tutte le difficoltà che ti sei trovata davanti e hai raggiunto quello che volevi... un secondo prima rideva e scherzava, e il secondo dopo non c'era più. Riesci ad immaginarti un momento e un modo migliore per morire?"

E' l'estate del 2005, stiamo assieme da pochi mesi e, una sera, affittiamo il dvd de "I ponti di Madison County" (evito di parlare del film, perché se no non finisco più). Quando finisce io la guardo e le dico: "non farmi mai una cosa del genere: se vedi che con me non sei felice, non stare con me per abitudine o per pietà, ma abbi il coraggio di dirmelo e io ti lascerò andare. Non importa il sentimento che provo per te, perché tu, come ogni altro, hai diritto a vivere felicemente e, visto che può capitare che, nonostante i sentimenti e le buone intenzioni, io non sia la persona adatta per far sì che ciò accada, allora il restare assieme sarebbe solo uno spreco di tempo".

Tutto finisce e nulla è scontato nella vita, ma quello che ho capito è che l'importante è vivere appieno ogni momento esprimendosi sempre in maniera sincera, perché è guardando sempre in faccia alla realtà che puoi affrontarla sempre al meglio.

domenica 4 novembre 2012

Time What is Time

Ci sono volte in cui avresti voglia di spiegare una tua idea, ma i concetti e i modi in cui vorresti spiegarla ti rimbalzano continuamente in testa in mille modi differenti e non sai mai né se sceglierne uno, né se una combinazione di quelli che ti vengono in mente. In ogni caso, che sia uno solo od una combinazione, non riesci a capire quale scegliere. 

A volte capita che questi concetti restino quasi seppelliti per anni, fino a che non trovi un punto di partenza adatto... e a volta capita che l'incipit adatto non sia farina del tuo sacco, ma di quello di qualcun altro.

Per questo, prima di tutto, volevo farvi leggere questa pagina tratta da un fumetto che ho avuto modo di rileggere per intero poco tempo fa: il fumetto in questione è GEA, ideato scritto e disegnato da Luca Enoch e edito dalla Sergio Bonelli Editore.

(Se qualcuno poi volesse recuperare l'albo da cui è tratta questa pagina si tratta del n° 7 della serie di 18 albi intitolato LA CROCIATA DI CLIVE).


Come avete potuto capire il punto centrale del discorso che Gea (la ragazza bionda con gli occhiali) si sente fare dall'altro personaggio, riguarda il tempo e il modo in cui noi lo approcciamo. Quante volte sentiamo dire (o diciamo) "vorrei fare [qualsiasi cosa ti venga in mente] ma non ho il tempo di farla" oppure "non ho più tempo per me" o "non mi resta il tempo di fare nulla"? Io sto sentendo queste frasi talmente tante volte, che comincio davvero a pensare che siano troppe. Davvero il tempo che abbiamo è così poco, o forse non saremo noi a starlo utilizzando male? Non saremo forse noi a sprecarlo in attività che di fatto non ci servono né a sopravvivere né a gioire o a godere della nostra vita, ma che pensiamo comunque di dover fare perché "non ne possiamo fare a meno"?
Dal marzo 2004 io lavoro a 100 km di distanza da casa mia e, fino a dicembre dello scorso anno, facevo il pendolare sul treno. Quella particolare condizione faceva sì che la mia giornata fosse preventivamente programmata da fattori esterni (orari di lavoro e orari dei treni) per 15 - 16 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, eppure, nonostante quello, vedevo che il tempo "per me", per esprimere me stesso e per coltivare quelle mie passioni che arricchiscono la mia vita con la gioia e la felicità che va oltre la soddisfazione di sapere che puoi sopravvivere nel mondo con le tue sole forze, sono sempre riuscito a trovarlo. A volte toglievo qualche frazione di tempo al sonno, a volte o sfruttavo il viaggio o mi ritagliavo momenti in cui mi isolavo dal mondo esterno, a volte organizzavo proprio i miei impegni in modo tale che ci fosse sempre e comunque un momento di tempo che io potessi utilizzare esclusivamente per me.
Nel corso degli anni mi sono sempre sentito dire da svariate persone che loro "non avevano tempo, perché dovevano lavorare".... Ma io mi chiedo: ma lavorare per chi? Per un'azienda? Per una famiglia? Per i figli? Per l'universo mondo? Vedo persone vivere praticamente sul posto di lavoro, che non ascoltano neanche quando il loro corpo gli dice con la malattia che dovrebbero fermarsi; vedo persone che si affannano a cercare di accumulare più denaro possibile, per poi non avere la minima idea di come usarlo; vedo persone che si annullano o nel seguire i propri parenti, indipendentemente dal fatto che i parenti in questione li rispettino o li disprezzino o nell'adeguarsi ai gusti e alle esigenze della persona con cui vivono; vedo persone che non riescono a star ferme neanche un momento ad ammirare la bellezza che li circonda (sia questa sotto forma di paesaggio, di lettura o di musica); vedo persone che fanno tutto per i propri figli e per la propria casa, ma si dimenticano di regalarsi un momento per fare quello che a loro da piacere. Vedo tutte queste persone e, guardandole negli occhi e sentendo i loro discorsi, vedo e sento la loro insoddisfazione per ciò che stanno vivendo.

Per questo, ultimamente, torno spesso a chiedermi:

Ma davvero tutto quello che pensiamo di dover fare è proprio necessario? 
E' davvero così indispensabile "fare buona impressione" sugli altri?
Abbiamo davvero bisogno di tutto quel denaro che pensiamo di dover accumulare?
Siamo così sicuri che l'amore e la vita richiedano veramente tutto questo sacrificio?


Ultimamente queste domande mi ronzano parecchio in testa e la risposta che mi viene da dare, però, sempre più spesso è un semplice "No".